mercoledì 10 agosto 2011

La rabbia e altre emozioni "appiccicose"...



Come altre volte è successo in queste pagine virtuali, il tema del giorno nasce da riflessioni provvisorie, durante un mio spostamento in auto, sotto la pioggia della doccia di casa, la visione distratta di un cartellone pubblicitario o l'ascolto di una canzone in radio... proprio come qualche giorno fa, soffermandomi sul titolo del nuovo pezzo degli Hooverphonic “Anger never dies” - la rabbia non muore mai.



Le emozioni che, sdrammatizzando, chiamo “appiccicose”, sono quelle che quando arrivano fai fatica ad allontanare, quelle che hai la sensazione che qualsiasi cosa tu faccia loro rimangono lì tenaci e resistenti, attaccate a noi, impedendoci di essere obiettive e guardare in maniera distaccata alle situazioni o alle persone.
Sto parlando della rabbia, la gelosia, il rancore... le conoscete?
Impossibile non conoscerle, non averle incontrate nel nostro cammino, volenti o nolenti.
Non sono ospiti piacevoli e neppure gradevoli compagne di viaggio, ma spesso, nostro malgrado, ci accompagniamo a loro, che sembrano all'inizio avere una funzione ben precisa, possono addirittura sembrare utili, ma in realtà poi non fanno altro che ostacolarci.
Quando qualcuno ci ferisce, ci fa del male, quando siamo frustrate in qualche bisogno importante, è normale provarle e viverle a fondo, ma dopo?
Bisogna reprimerle oppure lasciare che agiscano in noi? Chi stabilisce il giusto modo e tempo per dar loro spazio e libertà?
Questo tipo di emozioni esigono espressione, inutile volerle imbrigliare in recinti di soppressione perché comunque riuscirebbero ad uscire in altri modi, prendendo la via del corpo e della somatizzazione oppure dell'irritabilità senza scopo o ancora della sfiducia verso nuove relazioni...
Occorre prenderne atto e invece che sopprimerle riconoscerle, perché solo così si possono dirigere verso mete più costruttive.
Se non le riconosciamo, non le chiamiamo col loro nome e assegnamo loro un identità, allora ci perseguiteranno, facendoci consumare molte e molte energie per tener loro testa o perdere del tempo prezioso per andare avanti, obbligandoci a restare sempre con uno sguardo al passato, dove il danno è stato perpetrato.
Ricordiamoci sempre che le nostre emozioni sono una forma di energia: quando noi siamo arrabbiate, colleriche, gelose o piene di rancore, stiamo investendo gran parte delle nostre energie in un progetto, che in quel momento ci lega a quella persona o situazione verso la quale proviamo tutto ciò, tanto quanto ci legava a lei l'amore, la devozione, l'affetto – che hanno solo cambiato il segno, da positivo in negativo.
La chiave di volta per uscire dal circolo vizioso ed essere di nuovo in grado di vivere liberamente è riuscire a recidere quel vincolo di pesanti catene emotive che ancora ci zavorrano a quel progetto scaduto.
Come si fa?
Come vi dicevo prima, innanzitutto occorre riconoscere di essere in quella condizione, andare a fondo a tutte le emozioni vischiose che sembrano una seconda pelle e in questo modo riuscire a prenderne le distanze, ricostruendone la comparsa, contestualizzandole e vivere il dolore che le segue (perché spesso restano a lungo proprio per mascherarlo).
Bisogna guardare in faccia la sofferenza che quei gesti ci hanno provocato, ma una volta per tutte, senza scuse, perché soffrire fa parte del processo per elaborare un disastro emotivo, e lasciarselo poi alle spalle.
Poi occorre una scelta coraggiosa: perdonare.
Il magico unguento che scioglie quelle appiccicose emozioni non è altro che il perdono , l'unica occasione per essere di nuovo libere.
Ma, come dice nel suo bel libro Piero Ferrucci* “perdono non significa condono”: non è semplicemente mettere una pietra sopra e far finta che non sia successo nulla, anzi, è proprio il contrario, ovvero “ho ben chiaro il danno che mi è stato fatto e mi premunisco affinché non si ripeta”.
Quindi come sempre si tratta di un processo, un percorso di crescita a tappe da elaborare, senza lasciare nulla al caso, impegnandosi nel trasformare ciò che sembra solo fastidioso in qualcosa di propulsivo e nuovamente vitale, perché come giustamente ci ricordano anche gli Hooverphonic “la rabbia non muore mai” perché “è parte della vita.. è parte di te”.

virginia

* P. Ferrucci "La forza della Gentilezza" Ed. Mondadori

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