martedì 14 febbraio 2012

A...come amore!

A... come amore, cos'altro se no?
Però, proprio oggi posso stupirvi, non dedicandomi alla accezione più inflazionata di amore, inteso nel senso relazionale o di coppia, bensì partendo da un suo aspetto ancora più importante, che funziona da base indispensabile per qualsiasi sano rapporto a due: l'amore di sé.
Cominciamo con il depurare questo concetto con tutto ciò che nel senso comune si è andato a sovrapporre al significato originario.
Spesso si parla di amor proprio, sano egoismo, i quali vengono caldamente suggeriti a ciscuna di noi la quale si è, diciamo, messa in secondo piano rispetto all'uomo di turno o al prevaricare della vita lavorativa su quella privata... e allora in questi casi tutti sono molto bravi a dispensare consigli e incitare all'autoreferenzialità, ma tutto questo se razionalmente viene percepito come giusto, plausibile, addirittura ovvio, sul piano emotivo e animico è ben lungi dall'esser considerato alla stessa stregua.
Che succede in noi, quando permettiamo che qualcosa (qualsiasi cosa! Non sempre e necessariamente una relazione con un uomo...) superi in importanza la dignità della nostra persona, le nostre emozioni, le nostre idee, i nostri progetti? E' un processo che parte da molto lontano, ma vediamo di raccontarne la storia.
Sono sempre stata affezionata all'immagine data da Robert Bly (raccontata ne Il piccolo libro dell'Ombra, 1992) del lungo sacco che ci  tiriamo  dietro e che metaforicamente rappresenta il condensato di tutte le parti di noi che nel tempo abbiamo rinnegato e soppresso perché non consone a quanto ci veniva richiesto dall'ambiente esterno. In questa metafora, ogni bambino alla nascita è una sfera di luce ed energia che si irradia intorno a 360 gradi, una palla di energia, che crescendo però, impara a privarsi di alcune “fette” che corrispondono alle parti inaccettate di sé e che colloca nell'invisibile sacco che faticosamente (ma spesso inconsciamente) si porta sempre appeso alle spalle. La conseguenza di tutto questo, ammonisce Bly, è che “ogni parte della nostra personalità che non amiamo ci diventa ostile” - andando a formare quella che secondo la terminologia junghiana, viene definita “ombra” - e il bambino originario, diventa un adulto che  mostra al mondo solo una minima fetta di quella sfera di luce che lo caratterizzava all'inizio.
Ogniqualvolta le nostre ombre agiscono a nostra insaputa, noi ci comportiamo boicottando noi stesse dalle più piccole azioni quotidiane (non sei capace, così non si fa, vergognati...retaggio delle frasi che ci siamo sentite dire più spesso nella nostra storia) alle più importanti tematiche che possono dare senso alla nostra vita (mi tratta male ma a modo suo mi ama, non lo amo ma mi dà sicurezza, prima o poi credo che lascerà sua moglie... altrettante modalità relazionali apprese e rinforzate nel corso dell'esistenza).
È impossibile un rapporto di coppia sano e libero da proiezioni se prima non si è scandagliato a fondo noi stesse, recuperando anche le parti sommerse, curato le nostre ferite e accettato e amato anche i nostri limiti (lo stesso dovrebbe accadere nel partner).
In ogni caso diventa importante saper “tornare a casa”.
La Clarissa Pinkola Estes usa questa metafora del ritorno a casa nella stupenda storia di Pelle di foca, pelle d'anima (la trovi qui): ciascuna donna deve sapere quando è il momento di dire basta e dedicare del tempo al recupero delle energie della propria anima, altrimenti tutto in lei e fuori di lei perderà vigore, vitalità ed entusiasmo. “Perdiamo la pelle-anima lasciandoci troppo coinvolgere dall'io, diventando troppo esigenti, perfezioniste, o facendoci senza necessità martirizzare, o lasciandoci trascinare da un'ambizione cieca, o abbandonandoci all'insoddisfazione – per noi stesse, la famiglia, la comunità, la cultura, il mondo – senza fare o dire nulla, o pretendendo di essere una fonte inesauribile per gli altri, o non facendo tutto il possibile per aiutarci.” “psicologicamente, essere senza la pelle induce la donna a perseguire quello che pensa di dover fare e non quello che davvero desidera”.
Solo riconoscendo i propri bisogni e ascoltandoli si possono reintegrare nuove energie che ci permettono poi di essere ancora pronte per dedicarsi all'altro, al lavoro, alla casa, ai figli, alle amiche...
L'amore di sé passa per il sapersi concedere degli “spazi altri” - che sia una stanza tutta per sé, come auspicava Virginia Woolf o una poltrona colorata, ologramma di mondi interiori, non importa – perché possiamo amare pienamente qualcun altro quando siamo in connessione profonda con noi stesse, la nostra natura, le nostre necessità. “Meglio tornare a casa per un po', anche se gli altri si irritano, che restare e peggiorare, fino a cadere a pezzi”. 
Il ritorno a casa può venire frainteso dagli altri come un improvvisa virata di egoismo: in realtà è stato il “prima” ad essere troppo. Nel momento in cui la donna riesce a viversi momenti di pienezza – anche in solitudine – tornerà alla sua vita piena di gioia di fare e di essere.
Così, in questo giorno che di solito celebra l'amore di coppia, vi invito ad individuare il vostro modo di “tornare a casa” dentro di voi. Vi assicuro che poi anche il tornare a casa dall'altro ne sarà arricchito.

virginia
ps. se poi avete voglia di leggere anche un post sull'Amore, quello a due, potete trovarlo qui. ;-)

2 commenti:

Anonimo ha detto...

grazie Virginia per questo "spazio" online che ci regale sempre parole dense di significati...
quanto è difficile a volte (paradossalmente)amare gli altri con la consapevolezza di imparare ad amare innanzitutto noi stesse. Mi unisco a te per augurare oggi a noi donne il coraggio di ascoltarsi per trovare il proprio modo di "tornare a casa"...Isis

donneincontatto ha detto...

si, può davvero apparire come un paradosso, ma se lo sappiamo attraversare, portando anche l'altro a comprenderlo ed apprezzarlo, diventa salvifico per un rapporto solido e duraturo :-) -V-