lunedì 21 maggio 2012

Quelle donne che...


E' da un po' che ci penso.

Ritengo necessario porre attenzione anche a quegli aspetti “discutibili” delle donne con i quali mi imbatto nel quotidiano, o per lavoro o perché mi risulta impossibile non osservare quello che mi circonda e notare gli equilibrismi imperfetti delle relazioni umane.

Uno di questi è il bisogno, spesso declinato al femminile, di sentirsi al centro del mondo, sempre nel giusto e in posizione di esigere “crediti” da parte degli altri.

Lo vedo nelle mogli e compagne, quando ambiguamente chiedono aiuto ai compagni per essere alleggerite da pesi casalinghi, ma poi immancabilmente criticano o denigrano ciò che è stato fatto, come è stato fatto, perché è stato fatto, perché infondo, “come le faccio io le cose non le fa nessuno” “mi innervosisce vedere che ci mette una vita a farlo” e “faccio prima da me che spiegargli come deve fare”.

Lo vedo nelle giovani madri, quando faticano a delegare ai mariti o compagni la cura dei figli, perché dietro il pianto del figlio che biascica “mamma”, fra due lacrimucce, con le manine tese, hanno bisogno di leggere la loro unicità e importanza, non riuscendo a tollerare che quella creatura possa sostenere la loro mancanza.

Lo vedo nelle anziane madri, quando tengono legati a sé i figli col ricatto emotivo di frasi come “con tutto quello che ho fatto per te” “se te ne vai di casa mi spezzerai il cuore” o ancora più subdole malattie immaginarie che giungono ad hoc quando l'altro riesce ad affrancarsi dalla dipendenza.

Lo vedo nelle giovani figlie, che chiedono, pretendono, esigono che i genitori facciano sacrifici immensi per loro e credono che tutto gli sia dovuto perché “chi ti ha chiesto di mettermi al mondo!?”

Lo vedo nelle figlie mature che obbligano i genitori a prendersi ancora cura di loro, della loro cucina, delle loro faccende domestiche, dei loro figli, perché “non ce la faccio a far tutto” anche se hanno quaranta o cinquant'anni e dovrebbero essere già autonome da un po'...

Lo vedo nelle nonne, che secondo la malcelata logica del do ut des, rinfacciano la disponibilità di aiuto, venduta prima come disinteressata, facendola pagare poi cara ad ogni occasione.

Lo vedo nelle amiche, quando pretendono di essere le sole depositarie di segreti o confidenze, quando “non vengo se c'è anche lei” o “abbiamo litigato perché mi sono accorta che non mi diceva tutto”.

Non è un'accusa a chi davvero dona spassionatamente.

Esula dal fatto che ci sono, purtroppo, donne che devono implorare i compagni per farsi dare un minimo aiuto.

Non voglio mancare di rispetto a coloro che fanno tutto da sé e che bramerebbero anche un alleggerimento minimo da parte di qualcuno, ma non riesco a fare a meno di sottolineare che può essere importante fermarsi a riflettere ogniqualvolta un moto di stizza e risentimento nasce verso coloro che sono vicini e ce la mettono tutta per fare del loro meglio.

Spesso è fin troppo facile pretendere che gli altri debbano avere la sfera di cristallo e così riuscire a vedere, e poi a realizzare, tutti i nostri desideri.

A volte un semplice grazie, anche per una cosa fatta così così, chiesta invece che magicamente intuita, apre alla possibilità di ricevere molto di più di mille successive pretese o rivendicazioni.

La gratitudine, quella che viene dal cuore, intensa e lenitiva della fatica, è la migliore forma di apertura verso l'altro, fa bene a chi la compie e a chi la riceve.



Siate grate, ogni giorno per qualcosa.
L'altro, ma soprattutto la vita, vi ricompenserà.

buona settimana,
virginia

Nessun commento: