lunedì 12 agosto 2013

Fare e disfare


 
 
L'altro giorno al mare osservavo i bambini sulla spiaggia, tutti intenti a costruire, creare forme e realtà tangibili, sia sotto forma di torri inespugnabili, castelli con trincee (per i più grandi) o anche semplicemente labili architetture di sabbia, più simili a piramidi addolcite dagli spigoli, coni di gelato rovesciati sul bagnasciuga – per i più piccoli.

Tutti noi abbiamo costruito sulla riva del mare, ma a volte il momento più bello e atteso era quello della possibilità di distruggere tutto quello che con pazienza e metodo era stato eretto dalle nostre stesse mani.

Quando pongono fine in questo modo alla loro creazione, i bambini hanno una palpabile soddisfazione sulla faccia, molto più densa di significato dell'attenta concentrazione avuta in precedenza. Poi tutto ricomincia, affastellano granelli in varie forme che poi distruggono con le mani, con i piedini, con l'acqua, fondendole in nuovi rivoli che vanno verso il mare. E ancora un nuovo inizio, quasi all'infinito... guai però se l'azione demolitrice avviene da parte di qualcun altro, di un piede distratto o di un'onda anomala: sono pianti inconsolabili, finché non accade un momento di magia che fa rientrare nel ritmo e tutto riparte.

Le teorie psicologiche infantili, ci spiegano che i giochi di questo tipo (soprattutto intorno ai 18-24 mesi) sono fondamentali per fare in modo che nel bambino si crei la possibilità di affermare se stesso, di costruire qualcosa che lo rappresenti e poi farlo venire meno, ma allo stesso tempo, dopo la dispersione, di nuovo la riunificazione degli stessi elementi in una forma simile. Il più famoso gioco in tal senso è quello della torre fatta coi cubetti.
 

Tutte le mamme sanno quanta costanza ci vuole a seguire il proprio bambino in questa scoperta, e quanto sia importante partecipare ad entrambe le fasi, permettergli di ordinare in equilibrio i pezzettini e subito riportarli a terra con un colpo di mano, per poi aiutare il piccolino nella ricostruzione dell'unità dopo la scissione delle parti, rotolate chissà dove.

Questo processo, dialogo motorio fra mamma e figlio, consente lo sviluppo di sé, permette l'espressione di una carica aggressiva e gli dona fiducia sulla possibilità di ricostruire qualcosa, sempre.

Oggi le torri sul mare, domani la sua identità, messa alla prova dagli eventi della vita che molto spesso ci fanno sentire in mille pezzi sparsi.

Ogni volta che una crisi si abbatte su di noi, distrugge le nostre certezze, sembra spazzare via l'identità che con perseveranza e fatica abbiamo costruito giorno dopo giorno, mattone dopo mattone di esperienze, tenuti insieme col collante delle relazioni e delle persone significative.

A volte arriva un evento che è come un onda improvvisa, più lunga delle altre e che non ti aspettavi e ti interrompe sul più bello – e come quando eri bambina ti ritrovi a piangere lacrime amare di ingiustizia – altre volte invece, nonostante la fatica e l'impegno, ti ritrovi a essere l'unica artefice della distruzione, perché forse così doveva andare... quella costruzione necessita di rinnovamento o addirittura di essere rasa al suolo fino alle fondamenta, per poi essere edificata con nuovi criteri, perché tu non sei più quella di prima. A volte è necessario demolire per affermare nuove fasi di vita.
 

Comunque si tratta di momenti fragile e delicati, fatti di equilibri precari, di domande e ricerca di senso... da adulti è sempre difficile ricominciare e ripartire da zero.

Accade perché col tempo vorremmo circondarci di certezze, ci piacerebbe avere sempre una mano solida e carezzevole, come quella della mamma, che ci aiuta nel rimettere insieme i pezzi, oppure accade perché non accettiamo che il cambiamento fa parte della vita, e che a volte ci permette di abituarsi piano piano, mentre altre irrompe senza chiedere il permesso.

Tutti i grandi sono stati bambini una volta. (Ma pochi di essi se ne ricordano) – dice Saint-Exupéry nella dedica iniziale del Piccolo Principe: abbiamo perso quel modo di guardare alle cose che avevamo da piccoli, il riuscire a lasciare i luoghi abituali come fa il bambino del suo romanzo, per scoprire il mondo, per sperimentare l'orgoglio di ripartire e dar vita a qualcosa che può di nuovo svettare all'orizzonte, anche se fosse solo un'idea o un'emozione, oppure tornare di nuovo a casa, ma diversi da quello che eravamo, con nuove prospettive, rimettere insieme i pezzi, senza essere gli stessi.

Ogni volta che accade qualcosa che rompe gli equilibri proviamo a riconnetterci con il bambino interiore che è sempre con noi e diamo spazio anche alla possibilità che dopo che tutto è caduto si possa sempre ricostruire qualcosa.


Buona settimana

virginia


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