lunedì 20 ottobre 2014

Non occorre guardare per vedere lontano




Questo week end siamo partiti alla volta di Milano.
La giornata è stata dedicata a due tipi di mostre completamente agli antipodi.
Una dove gli occhi sono stati protagonisti (Chagall – Una retrospettiva 1908-1985) l'altra dove tutti gli altri sensi sono passati al primo posto, perché si trattava di un percorso completamente nelle tenebre.
Di Chagall vi parlerò prossimamente, mentre oggi voglio dedicare qualche riflessione al “Dialogo nel buio”, (tutte le info qui) un'esperienza unica e difficile da esprimere a parole, che sono sempre il tramite più immediato per chi – come la maggioranza di noi – le può usare come filtro di elaborazione di una realtà esperita con lo sguardo.



Il percorso al buio si svolge presso l'Istituto dei Ciechi, in uno spazio che ripropone vari ambienti della nostra vita quotidiana, da vivere per più di un'ora senza fare affidamento sugli occhi.

Appena entrati lo smarrimento è potente.
Non vi è più alcun punto di riferimento, nessun appiglio.
Tranne una guida non vedente che accompagna il piccolo gruppo lungo tutto il cammino.
Man mano che si procede, alcuni “confini” o strumenti per muoversi cominciano a diventare familiari, ma ogni stanza rimette in forse le piccole certezze conquistate.
È un percorso a tappe, dove ciascuno fa un'esperienza personale e allo stesso tempo comune, che muove riflessioni e lascia molti interrogativi.
Alcuni di questi possono essere condivisi, altri metteranno radici e potranno dar luogo a piccole o grandi trasformazioni anche successivamente.

Io non ho potuto fare a meno di fare un'analogia con il mio lavoro.
Quel buio è come il buio dell'inconscio.
E quando qualcuno chiede il mio aiuto, io sono come Rosanna, la nostra guida cieca.
Per me è “normale” muovermi in quell'ambiente, riesco ad orientarmi e non temo ciò che possiamo trovare.
Ma per la persona che si affida a me tutto quel nero è spaventoso.
Per di più perché non ha deciso di sua iniziativa di entrarvi, bensì ci si è trovato/a catapultato/a suo malgrado.
Nella sofferenza accade questo: si perdono le certezze e anche le cose che prima erano conosciute e familiari (persone, oggetti, emozioni, pensieri), adesso sembrano estranee e lontane.
In quanto terapeuta io posso esserci e attraversare insieme con la persona quel tratto di cammino, come la nostra guida ha fatto sapientemente con noi.
Come lei ci spiegava, occorre sentire chi ha semplicemente bisogno di essere sostenuto con la voce, chi di un segnale corporeo di incoraggiamento, chi invece deve essere preso per mano e accompagnato passo per passo.
Ogni persona ha la sua modalità.
Dentro il dialogo nel buio e dentro la stanza di terapia.

Perché si tratta comunque di stabilire un rapporto umano, che va oltre le differenze, oltre le diverse abilità.
Si tratta di costruire una relazione, ed è quella che “cura”, al di là di ogni tecnica o sapere.

Ecco il mio segreto. È molto semplice:
non si vede bene che col cuore.
L'essenziale è invisibile agli occhi.

(A. De Saint Exupery – Il Piccolo principe, Cap. XXI)

O come aveva detto molti anni fa un giovane paziente al mio didatta:

dottore, io voglio essere guarito
non con le medicine
ma con l'amore e con la gioia”

(cit. in A. Alberti “Psicosintesi. Una cura per l'anima”)

Non vi racconto di più dell'esperienza al buio, perché diventi per ciascuno unica e irripetibile.

Buona settimana
virginia

(fonte immagine: Pinterest qui

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