lunedì 23 febbraio 2015

Essere "l'Altra"



Molte che si raccontano davanti a me si trovano nel ruolo de “l'Altra donna”.
A volte da pochissimo tempo – e mi guardano smarrite, in cerca di risposte che mettano pace al cuore: “andare o restare?” – altre volte da lunghissimi anni – e in questo caso può essere che il ruolo se lo siano cucito addosso, ormai come un secondo abito, oppure che siano di fronte a me perché finalmente se lo vogliono sfilare.
Ad ogni modo è necessario cominciare semplicemente ad osservare ed osservarsi.
In ogni caso, anche quando questa maschera è ostentata con disinvoltura, io mi sono abituata a cogliere e decriptare la sofferenza che è stata malcelata, oppure anche a rilevare, dietro lo smarrimento iniziale, la soddisfazione narcisistica per la conquista appena ottenuta.
Tutto questo lo rimando come uno specchio, perché il primo assunto è: astenersi dal giudizio.
E lo propongo anche a loro.
Ciò che diventa importante è comprendere, e non accusare o accusarsi.
Comprendere significa accogliere ciò che si muove dentro di noi, cogliere il desiderio che porta ad agire certe parti e a non altre, conoscere i bisogni – molto spesso inascoltati – che necessitano appagamento nei modi che più sono accessibili.
È importante rilevare e descrivere insieme come questo ruolo di “Altra” viene agito e gestito da entrambi i partner.
Quali emozioni provoca? Quali desideri appaga? Quali contraddizioni porta con sé?
Quali sub-personalità vengono evocate in questa relazione da quest'uomo? Hanno qualcosa a che fare col proprio passato?
Dietro a qualsiasi ruolo, anche il più stereotipato socialmente come può essere quello dell'amante, c'è sempre una storia, una vita.
Ed è lì che possiamo trovare i segnali grandi o piccoli che ci orientino e aiutino a uscire dal bosco dell'incanto magico che ferma il tempo in una storia sospesa.

È come se le Selvatiche, anche nei loro rapporti con gli uomini, fossero interessate alla vita in sé, alla sua crescita e al suo sviluppo e non desiderassero in alcun modo rimanere intrappolate in quelle dinamiche di legame, possesso e timori per la perdita che generalmente avvelenano le relazioni fra gli uomini e le donne.
(C. Risé, M. Paregger “Donne Selvatiche”
Frassinelli – 2002. pag. 77)

Dalle parole che ciascuna mi narra, emerge spesso la bellezza e la leggerezza del “giocare a fare la coppia” senza però “cadere” nella monotonia.
Prendono solo il “meglio” e si sentono riconosciute come “il meglio” ovvero ciò che risolleva giornate pesanti, umori cupi e situazioni complicate da cui sfuggire.
Vivono momenti speciali, a tempo determinato.
Il lato oscuro di questa levità sta però nel non vivere mai davvero fino in fondo, spesso per la paura di rischiare una perdita: sembrano dire “se non è davvero mio in realtà non soffrirò quando lo perdo”.
A volte è vero. A volte è solo uno stillicidio quotidiano a dosi omeopatiche, diluito negli anni.
Alcune mi confidano di sentirsi, paradossalmente, il motivo che tiene in piedi l'unione ufficiale.
Di recente ho trovato questa storia, che può spiegare come questo possa accadere:

Un uomo di Greting, vicino a Salisburgo, che viveva in discordia con sua moglie e ne veniva maltrattato, va verso la Caverna delle Donne (Frauenshoehle) a Untenberg, e rimane una notte sdraiato lì. Allora gli compare una vergine, mezza nera e mezza bianca, alla quale racconta che sta litigando con la sua donna. La vergine gli si siede vicino e gli parla confidenzialmente. Quando lui vuole andar via gli dice che, poiché ha saputo ascoltarla, può tornare tranquillamente a casa, dove troverà la sua donna di buon umore. E così è.
(opera cit. pag. 77-78)

Di fronte all'altra, molti uomini sono più disposti ad accedere ai chiari e scuri del femminile (la vergine metà bianca e metà nera), grazie alla condivisione di dialoghi e svelamenti che mai riuscirebbero a tollerare dalla propria moglie.
Siccome fanno fatica ad accettarli nella loro compagna ufficiale, vi accedono grazie all'unione e la conoscenza dell'amante, riuscendo a volte a integrare dentro di sé una dimensione femminile che arricchisce e non toglie.
È chiaro che si tratta di un processo di perpetuazione della scissione nella psiche maschile, (che al suo culmine diventa quella fra sante e puttane) ma in alcuni casi, nel tempo, accade proprio che grazie all'amante, l'uomo conosca meglio sua moglie, in tutte le sfaccettature di donna e quindi che il rapporto si salvi.

La domanda che ora vi pongo però è questa:
perché limitarsi a nutrire rapporti altrui e boicottare invece una felicità personale, svelandosi a un uomo che possa conoscere, accettare e amare ogni parte di voi? (se vi va di approfondire leggete qui e qui). 

buona settimana
virginia 

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