lunedì 9 febbraio 2015

Un amore tossico: Frida e Diego



E' finita da poco la mostra a Genova “Frida Kahlo e Diego Rivera” (qui) e la cosa che mi ha colpita – ancor prima delle opere, stupende e struggenti – è stato proprio il titolo e la scelta della grafica.
Il nome di lei che campeggia in grassetto e quello di lui sotto, con un tratto sottile, l'esatto contrario delle loro caratteristiche di allora.
Mi sono chiesta se in Europa, una mostra solo su Rivera avrebbe avuto lo stesso successo.
Diego è stato famosissimo come muralista e anche simbolo di lotte politiche in un Messico dove imperava il tema della rivolta comunista con l'attenzione al valore sociale dei soggetti ritratti.
L'opera di Frida invece è di carattere introspettivo, specchio del suo mondo intimo e dolorosamente trasposto sulla tela, attraverso quel corpo dilaniato dalla malattia.

La sola cosa che so è che dipingo perché ne ho bisogno e dipingo tutto quello che mi passa per la testa, senza prendere in considerazione nient'altro.”
(F. Kahlo)

Credo che il valore della sua opera abbia risieduto proprio nella capacità di esporre senza reticenze e con coraggio tutta se stessa, perché ogni autoritratto è diventato un simbolo (e come tale polisemico), di sofferenze, valori, speranze, rielaborazione personale e unica di eventi di vita densi di conflitti insanabili.
Uno di questi è stato il legame col suo amato “rospo” Diego.


Il loro è stato un amore sempre tormentato e mai confortante.
Frida conosceva le sue amanti precedenti e la sua fama di uomo mai sazio di sedurre, incapace di trattenere i suoi istinti e smanioso di ottenere l'ennesima conquista, arrivando anche a essere scoperto con Cristina, la sorella di Frida.
Nella mostra di Genova, c'è una foto che lo ritrae seduto sull'impalcatura di uno dei suoi murales e poco più sotto delle donne che lo guardano adoranti.



Lui invece guarda altrove. 
Lui guarderà sempre altrove in tutta la sua vita, in cerca di nuove conquiste.
Questa era l'energia di Diego Rivera.
Frida ne era consapevole, ma nonostante tutto ha scelto di sposarlo.

"Ho avuto due gravi incidenti nella mia vita. Il primo fu quando un tram mi mise al tappeto. L'altro fu Diego"
(Herrera – Frida, pag.80)

Nelle foto che li ritraggono insieme, lei è sempre alla ricerca di un riparo sotto quel corpo mastodontico – l'elefante e la farfalla, li definivano – ma l'impressione è quella di un gattino abbandonato che elemosina una carezza.



[…] non riuscirei mai a fare a meno di Diego. Lui è la vita che mi è mancata, lui è l'unico che, quando mi tiene tra le braccia, riesce a far scomparire la Pelona (la morte ndr) che mi danza intorno giorno e notte”
(P. Cacucci – ¡Viva la vida! Pag. 35)

Quante versioni diverse di queste parole ho ascoltato da molte donne che si sono avvicendate sul mio divano!
Una costante della loro ossessione è proprio quella di sentirsi sperdute senza quell'uomo attorno al quale gravitano come satelliti.
E come Frida, che in quanto colomba avrebbe potuto volare lontano – a che mi servono i piedi se ho ali per volare? Scriverà nel suo diario – si riducono a svolazzare intorno a quell'elefante-zavorra partecipando per tutta la vita di una pesantezza che le rende schiave.
Frida se da un lato era consapevole della sua energia e delle infinite risorse che le avevano permesso di superare la morte in diverse occasioni, dall'altro si sentiva inferiore a causa delle menomazioni che la malattia le aveva lasciato.
Forse per questo aveva accettato tanto a lungo che Diego cercasse altrove il suo appagamento: lei infondo si sentiva menomata, soprattutto perché non era riuscita a dargli un figlio.
Molte donne in una relazione tossica condividono con lei questo sentimento.
È la legge del “se fossi...” secondo la quale ipotizzano di riuscire a ottenere l'amore pieno a patto di diventare come lui desidera, di riuscire ad accettare tutto di lui, anche i comportamenti più aberranti, nel continuo sforzo di essere “più qualcosa” (buona, paziente, femminile, accogliente, magra... ognuno ha la sua impietosa versione).
Nei casi più manipolatori, questi uomini finiscono con il far sentire in colpa la compagna quando riesce ad ottenere un minimo di rispetto – proprio come è successo a Frida nel momento in cui è riuscita a far rientrare Diego in Messico dagli Stati Uniti, episodio a cui è seguita una specie di febbre nervosa di lui senza fine, che lo rendeva svogliato, apatico, insostenibile da guardare per gli occhi di lei, che non tollerava di essere la causa indiretta di quell'assenza di ispirazione artistica.
Forse per vendicarsi si è intrattenuto in una relazione con sua sorella?
Il colpo più basso e aggressivo fra tutti gli altri, la cui elaborazione ha dato vita al quadro “Qualche piccolo colpo di pugnale”.



Nonostante tutto questo, dopo un periodo di rinascita dalle sue ceneri, dopo altri interventi dolorosi, amanti che le si sono donati con passione, Frida comunque torna da lui.
Ciò che accadeva dentro di lei è simbolicamente ritratto in questo quadro.


Autoritratto come Tehuana. 
(Diego nei miei pensieri o pensando a Diego)” 1943

Si tratta di un vero e proprio paradosso.
Le donne di Tehuantepec sono famose per la loro società matriarcale, addirittura si narra che il mercato sia loro appannaggio e che gli uomini vengano derisi se vi mettono piede.
Disegnandosi con l'abito tradizionale Frida sembra voler incorporare questa energia femminile di supremazia, ma allo stesso tempo risulta “imbrattata” dal pensiero di Diego che concretamente prende il sopravvento su tutta la composizione.
I fili che circondano il suo volto fanno pensare alla tela del ragno e qualche critico afferma che rappresenti il desiderio di lei di trattenere in questo modo l'amato, mentre a me viene da dire che lui posto al centro non è altro che il ragno stesso che intrappola le bianche ali della colomba...
Questo è ciò che risulta nella vita di ogni donna che ha a che fare con un predatore di tal guisa: nonostante i suoi sforzi, egli cercherà sempre di occuparne i pensieri, tanto più se coglierà l'allontanamento, i suoi tentativi di svincolo e indipendenza.

Il bisogno di Frida, soprattutto nei momenti dolorosissimi delle sue permanenze in ospedale sarebbe stato di averlo accanto, di essere accudita, confortata e amata più che mai.
Lui invece andava a trovarla con ancora addosso la scia di profumo di qualche donna.
Nel suo diario, campeggia tristemente fra i colori, i bozzetti e il nome di Diego ripetuto come un mantra, la scritta “Soy sola”.
Come tutte le donne intossicate dal vampiro di energie, credono che sia lui a tenerle in vita mentre non si accorgono che è proprio della loro linfa vitale che si nutre.
E forse infondo, anche Frida lo aveva capito, quando arriva a ritrarsi ne “L'abbraccio amorevole dell'universo” 1949, affidandosi a un potere più grande, quello della natura e della vita stessa, mentre lei si occupa di un Diego bambino, l'unico modo per farlo un po' suo, mentre il suo cuore zampilla sangue.




Fra le sale della mostra si respira l'energia di questa donna tenace e caparbia, che ha saputo fare dell'arte la sua ancora di salvezza, ma anche della sofferenza il filo conduttore di tutto il suo esistere.
Già provata nel corpo, si è inferta numerose ferite nell'anima, restando in un rapporto tossico e distruttivo, che sì ha dato vita al suo genio artistico e l'ha resa famosa, anche più famosa di lui, ma a quale prezzo per la donna stessa?

Spero che per tutte le donne invischiate in relazioni di questo tipo ci possa essere uno sviluppo diverso, che faccia diventare tutta la loro vita in un grassetto evidente, non solo l'epigrafe postuma di gesta “eroiche” del passato.

Buona settimana
virginia


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