lunedì 23 marzo 2015

Che cos'è la psicoterapia?



Nella giungla quotidiana di teorie, terapie, percorsi di cura, mi capita spesso che le persone mi chiedano in che cosa consiste esattamente il lavoro di psicoterapia.
Mi trovo sempre un po' smarrita nel dover dare una definizione netta, perché non esiste un percorso di terapia uguale a un altro e spesso uso questa frase: “è come un vestito su misura che va cucito addosso”.

La sofferenza è una dimensione dell'animo umano che ci porta a una regressione, ci rende così vulnerabili che è come se tornassimo bambini inermi di fronte a un mondo troppo difficile e pericoloso.
Quando le persone giungono in terapia si trovano in questa complessa fase, nel pieno di un conflitto interiore che le porta da un lato a chiedere aiuto, dall'altro a sperimentare la frustrazione di non farcela da soli.
L'essere umano ha bisogno di conforto e di contatto fin dagli albori della sua vita, quando l'avere qualcuno che si occupa di lui è una vera e propria questione di sopravvivenza.
Nel dolore – fisico o emotivo – questi bisogni si fanno di nuovo prepotenti, prendono il sopravvento e nonostante i tentativi di essere autonomi, ci permettono di entrare in relazione con gli altri chiedendo aiuto.
Ci sono persone per le quali è più facile, altre che vivono molto male il ricevere, sono più abituate a dare.
Altre ancora arrivano in terapia pensando di ottenere risposte precise, definite e risolutorie.

Il paziente psicoterapeutico può cominciare […] cercando di costringere il terapeuta a dirgli cosa deve fare per essere felice e come deve vivere senza essere pienamente responsabile della sua vita
(S.B. Kopp “Se incontri il Buddha per strada uccidilo” 1975)

La terapia in realtà non è un luogo di risposte, perché diventa utile quando è un incontro, ovvero quando si fa dialogo.
Il terapeuta, secondo la definizione dello stesso Kopp, non è altro che un pellegrino di professione, perché proprio nella metafora del viaggio troviamo il significato profondo di ogni percorso psicologico.
Il paziente diventa a sua volta pellegrino e nel viaggio che compiamo insieme – un po' come Dante e Virgilio nella Commedia – ritrova un senso alla propria vita, grazie alla narrazione e riformulazione delle esperienze.

L'intreccio paradossale di potenza e vulnerabilità, che rende un uomo massimamente umano, dipende dal suo sapere chi è adesso lui, poiché può ricordarsi chi è stato, e poiché sa chi spera di divenire.
Tutto ciò deriva dalla sua capacità meravigliosa di raccontare la propria storia.
(Kopp, pag. 25)

Il percorso verso il centro della terra, quel territorio oscuro e magmatico del nostro inconscio fa emergere tutti gli aspetti del nostro essere umani e ci aiuta a vederli con altri occhi e infine anche ad accettarli.
Ma la premessa a tutto questo è il volersi liberare dalle false immagini di sé, quelle imposte dall'esterno o quelle alle quali ci siamo adattati per essere riconosciuti, accettati, rinunciando a energie importanti per la nostra vita.

Prima che l'uomo possa essere libero, deve innanzitutto scegliere la libertà. Allora comincia il lavoro duro.
(Kopp, pag. 30)

Il lavoro duro è tutto quello che sta in mezzo fra l'inizio – che non è necessariamente la prima seduta – e la fine di una terapia.
Il vero inizio è quando accettiamo di correre il rischio di abbandonare le certezze conosciute e avventurarsi alla scoperta di altro, accettando che possa essere anche doloroso. Il viaggio terapeutico è accedere insieme a contenuti che il paziente teme di contattare da solo, è il riscoprire il passato con nuovi occhi ma anche svelare potenzialità nascoste, finora coperte dalla sofferenza.

E la fine? Quando finisce la terapia?
Io dico che finisce quando il motivo per cui la persona è arrivata è finalmente risolto, ovvero sciolto, secondo il significato etimologico.
Precisando che non significa che nella realtà il problema non c'è più, bensì vuol dire che la persona è in grado di affrontarlo e gestirlo in autonomia, senza che questo sconvolga il suo equilibrio.
Il nostro processo di conoscenza e ricerca di sé dura tutta la vita, ma non credo che le persone debbano andare in terapia per sempre.
Sarebbe come accompagnare in eterno un figlio per mano impedendogli di camminare da solo.

Uccidere il Buddha in strada significa distruggere la speranza che qualcosa all'infuori di noi possa essere il nostro padrone. Nessuno è più grande di nessun altro. Non ci sono madri e padri per gli adulti, soltanto fratelli e sorelle. […]
Ciascuno di noi deve rinunciare al maestro, senza rinunciare alla ricerca.
(Kopp, pag. 168)

Ogni persona “guarisce” nella misura in cui accoglie su di sé la responsabilità della propria esistenza, quando da figlio o figlia diventa uomo o donna, capace di trovare il suo significato di senso a ciò che è accaduto, che accade e che accadrà.
Vi lascio con una frase che racchiude in maniera sublime la consapevolezza del processo terapeutico

è proprio così, 
io sto cercando un tetto che mi ripari,
ma dovrò costruirmi una casa, 
pietra su pietra”
(Etty Hillesum)

buona settimana
virginia 

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