lunedì 13 aprile 2015

perché è così difficile cambiare?



Questa settimana procediamo al contrario delle abitudini di sempre.
Di solito per scrivere il post del giovedì prendo ispirazione da quello del lunedì, mentre oggi farò l'opposto: affidandomi alle riflessioni scaturite dalla frase evocatrice di giovedì scorso (qui) cercherò di descrivervi la natura delle nostre resistenze al cambiamento.

Spesso conosciamo il costo del mancato cambiamento nei termini di sintomi, disagio emotivo, dolore, rabbia... ma più spesso non riusciamo a calcolare il prezzo della trasformazione che – almeno sulla carta – ci porterà a risolvere la situazione di impantanamento in cui siamo immersi.
Le persone possono decidere, o essere obbligate dagli eventi, a prendere posizioni nel qui e ora che daranno inizio a un cambiamento, ma la loro attenzione è costantemente rivolta a una domanda che gira in testa, e che – parafrasando il titolo di un romanzo di Cameron – recita più o meno così: “davvero questo dolore un giorno mi sarà utile?”

In effetti è da tener conto che la valutazione potrà essere fatta solo a posteriori, o almeno strada facendo ma passo dopo passo, e quando ancora è tutto da cominciare è difficile affidarsi all'ignoto...
Sicuramente si creerà confusione, ansia e smarrimento, perché un equilibrio (o pseudo-equilibrio) cariatideo è stato rimesso in discussione, quindi è inevitabile che i punti di riferimento si capovolgano e ciò che era una certezza non rappresenti più alcun faro nella notte.
L'unica garanzia che dovete tenere presente è che il disagio può placarsi solo continuando a cambiare.
Una volta innescato il processo è questa la parte più difficile: tenere fede alla propria posizione senza ricadere nei vecchi schemi che pur se disfunzionali, sono rassicuranti.

Per questo motivo è necessario che di qualsiasi decisione si tratti, venga presa in maniera autonoma e responsabile, perché nessun altro se non voi stesse, poi dovrà portarla avanti.
Non c'è cosa peggiore che ritrovarsi a fare passi avventati perché imposti o anche suggeriti dall'esterno – nemmeno dal terapeuta.
Resta da precisare però, che in situazioni cronicizzate e congelate da tempo, come affermato dalla Shepard nella frase di giovedi, l'unico mezzo per cambiare è rapresentato da un salto di fede.
Avere finalmente fiducia nelle proprie potenzialità e nel fatto che restando immobili tutto rimarrà identico si, ma morto, senza più alcuna spinta vitale.
Dato che il percorso che porta a una scelta di questo tipo ha tempi e modi diversi per ciascuno, voglio però darvi alcuni spunti di riflessione per capire se state evitando di scegliere e in qualche modo vi ritrovate a compensare in altro modo l'ansia determinata dal continuare a stare in una situazione stagnante.
Quando ci sono momenti di tensione, sia nei singoli che nei gruppi (e quindi anche nelle famiglie) vi possono essere dei comportamenti attuati inconsciamente per riuscire a gestire il disagio senza affrontarlo direttamente.
Si tratta de:

  • l'iperfunzionalità: ovvero dedicarsi in maniera totale e completa a un compito, un lavoro, una situazione per gestirla al meglio, perdendo di vista i propri obiettivi e bisogni, ma in questo modo dare un'immagine di sé all'esterno di persona efficiente che sa badare a se stessa, risolvere i problemi, gestire e organizzare tutto in maniera impeccabile.
  • L'ipofunzionalità: attuare un comportamento passivo, apatico, diventando magari personalmente il “problema” dando spazio a comportamenti lungo il continuum che va dalla depressione all'aggressività, usate come modo per opporsi a quello che sta succedendo.
  • La conflittualità: può assumere la strada della coppia o del rapporto genitori-figli, ma in entrambi i casi c'è da chiedersi qual è il vero problema che sta alla radice.
  • L'inseguimento: è tipico di chi si ritrova a rincorrere un partner o un obiettivo sfuggente e invece di vivere la propria vita la dedica a preoccuparsi di raggiungere l'altro.
  • La fuga: è il comportamento complementare all'inseguimento, rappresenta un modo – spesso maschile – di presa di distanza da un problema emotivo cercando alternative e spazi privati, ma allo stesso modo dell'inseguitore, anche l'inseguito non fa altro che dedicare il suo tempo a evitare l'impegno, a scappare, senza riuscire a vivere pienamente.
  • La concentrazione sui figli (o su terzi): si tratta di spostare l'attenzione su un terzo (es. il problema di un figlio oppure sull'amante del coniuge) per non affrontare il confronto diretto che riguarda la coppia.

Questi tipi di comportamenti si strutturano in complesse reti di relazioni, quindi può essere che per un partner che iper-funziona ci sia l'altro che ipo-funziona e sia questo modo di relazionarsi che crea conflittualità ecc...
Come potete immaginare, la definizione di categorie e l'esemplificazione non riesce mai a tenere conto della complessità dell'esperienza individuale, per cui la resistenza al cambiamento è si data da ragioni reali, ma spesso intrecciate profondamente con motivazioni inconsce che solo una ricerca personale può svelare.

Il cambiamento avviene solo se cominciamo a riflettere e a lavorare su noi stesse, anziché continuare a concentrarci e a reagire all'altro.
(Harriet Lerner)

Quindi come al solito, non posso donarvi risposte definitive, ma punti di partenza:

Non sapevo cosa fare. […] Poi però mi sono reso conto che se non mi muovevo, quel terribile momento sarebbe andato avanti per sempre.
(P. Cameron – da “Un giorno questo dolore ti sarà utile”)


[ps. se volete approfondire questo tema, vi suggerisco la lettura del libro della dott.ssa H. Lerner “La danza dell'intimità” 1997 Ed. Corbaccio]

buona settimana
virginia 

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