lunedì 7 dicembre 2015

Perché iniziare una psicoterapia?


Pandora (J. W. Waterhouse, 1896)


Sono molti i motivi che possono portare a varcare la soglia del mio studio.
Di solito il denominatore comune è la sofferenza, qualunque sia il sintomo col quale si traveste per essere vista ed espressa.
Non è mai semplice iniziare, aprire il vaso di Pandora del dolore e cominciare ad attraversare il territorio incerto del proprio passato, con un interrogativo su tutti che da qualcuno viene dichiarato e da altri solo lasciato vedere in controluce: riuscirò a venire a capo di tutto? Risolveremo i miei problemi?

Quando si comincia una terapia, tutto sembra difficilissimo e senza fine.
I vecchi schemi disfunzionali, i comportamenti ripetitivi, le difese di una vita, cercano di imporre le loro “leggi” conosciute, che fino a poco tempo prima hanno funzionato, ma adesso non riescono più ad arginare l'angoscia.
Le figure del passato tornano prepotenti e coatte, fantasmi vociferanti che pretendono ancora di comandare sul bambino interiore, inerme di fronte al loro potere.
Un tumulto di emozioni va districato con pazienza, separando le lacrime dai sorrisi, la rabbia dalla tristezza, la delusione dall'accettazione.
Il tempo della terapia non è lineare, le cose lì non funzionano secondo la logica della consequenzialità: è un percorso a spirale, un passo dopo l'altro riannodare fili e ordinare vissuti, separare e riattribuire significati.
Per questo è complesso rendere esplicito un processo che resta misterioso anche per chi lo vive, fino all'epifania che permette il manifestarsi di tutto il lavoro fatto insieme.
A volte è la prima giornata buona dopo mesi di caos, altre volte una reazione diversa in una situazione creduta irrisolvibile, altre ancora il rendersi conto che semplicemente quello che attanagliava non è più al primo posto...
È come se da tutto quel travaglio, finalmente sia venuta alla luce la propria individualità, rimasta nascosta per troppo tempo, la vera natura che ti appartiene e che, da un punto di vista adulto, possa cominciare ad affrontare diversamente quello che prima appariva senza soluzione.
Si tratta di lasciar andare i fantasmi e pensare a sé.
Non c'è una via univoca, ciascuno ha la propria strada e il proprio viaggio interiore che però può essere contattato ed espresso sul piano universale grazie a una intensa poesia di Mary Oliver

Un giorno, finalmente, hai capito
quel che dovevi fare, e hai cominciato,
anche se le voci intorno a te
continuavano a gridare
i loro cattivi consigli
anche se la casa intera
si era messa a tremare
e sentivi le vecchie catene
tirarti le caviglie.
Sistema la mia vita!”,
gridava ogni voce.
Ma non ti fermasti.
Sapevi quel che andava fatto,
anche se il vento frugava
con le sue dita rigide
giù fino alle fondamenta, anche se la loro malinconia
era terribile.
Era già piuttosto tardi,
una notte tempestosa,
la strada era piena di sassi e rami spezzati.
Ma poco a poco,
mentre ti lasciavi alle spalle le loro voci,
le stelle si sono messe a brillare
attraverso gli strati di nubi.
E poi c'era una nuova voce
che pian piano
hai riconosciuto come la tua,
che ti teneva compagnia
mentre procedevi a grandi passi,
sempre più nel mondo,
determinata a fare
l'unica cosa che potevi fare -
determinata a salvare
l'unica vita che potevi salvare.

(Mary Oliver “Il viaggio”,
Dream Work, & New and Selected Poems,
Beacon Press, 1992.)

Buona settimana
virginia

PS. Qualche mese fa vi avevo già raccontato in cosa consiste un percorso di psicoterapia, usando altre metafore e parole. Se lo hai perso lo trovi qui

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