lunedì 29 agosto 2016

La tecnica dell'EMDR nella risoluzione del trauma





Gli ultimi tragici eventi che hanno colpito Amatrice e le aree circostanti, mi danno l'occasione di parlarvi di una tecnica psicoterapeutica che uso da un po' di tempo, ovvero l'E.M.D.R. (Eye Mouvement Desensitisation and Reprocessing).
Si tratta di un metodo che serve ad elaborare i ricordi traumatici, attraverso la loro rievocazione prima e riorganizzazione successivamente.

Come avviene?
Francine Shapiro, alla fine degli anni '80, fece una primissima scoperta in maniera casuale: stava passeggiando nel parco e allo stesso tempo rievocando eventi traumatici.
Si accorse che il movimento dei suoi occhi da una parte all'altra dell'ambiente facilitavano la rievocazione e l'elaborazione di ciò che stava ricordando, così cominciò a sistematizzare queste osservazioni in protocolli di ricerca standardizzati.
Così è nato l'EMDR, che consiste appunto nell'applicazione di un protocollo in otto fasi, che prevede la definizione di un evento traumatico secondo criteri misurabili e la sua ripetizione mentale mentre si stimolano gli occhi in maniera bilaterale.
Mi rendo conto che descritto così risulta un po' complesso, ma come dico sempre ai miei pazienti , contrariamente a tante altre tecniche “l'EMDR è più facile a farsi che a dirsi”.

Perché funziona?
Numerosi studi effettuati a partire da questa scoperta hanno dimostrato che il trauma – di qualsiasi natura sia – si cristallizza nella nostra mente sotto forma di una immagine fissa che si ripete tale e quale ogni volta che lo contattiamo anche solo nel pensiero, provocando le stesse reazioni emotive e neurovegetative di allora (es. paura, sudorazione, palpitazioni ecc...), perché viene immagazzinata secondo significati che afferiscono solo a uno dei due emisferi cerebrali (quello emotivo o quello logico-razionale).
Attraverso l'EMDR si agisce direttamente su questa immagine disfunzionale, desensibilizzando le reazioni ripetitive e riorganizzando la capacità di affrontare la stessa realtà in maniera diversa.
Sembra che la stimolazione bilaterale degli occhi o del tocco, permetta di rimettere in connessione i due emisferi cerebrali, “liberando” l'immagine delle associazioni negative legate al trauma, recuperando informazioni più armoniche, capaci di sviluppare la resilienza, ovvero la capacità di affrontare in maniera positiva lo stesso evento.
Obiettivo della tecnica è dunque “lasciare il passato nel passato”, perché niente può essere cancellato, ma quando la persona si ricorda di nuovo dell'episodio le sembra improvvisamente come più lontano, ma soprattutto svaniscono le emozioni e convinzioni negative associate fino al giorno prima e così dannose per il benessere psichico.

Per quali traumi?
In EMDR si distinguono traumi “T grande” e “t piccolo”.
I primi sono quegli eventi che mettono a repentaglio la sopravvivenza della persona, ad es. un terremoto e tutte le catastrofi naturali, un attentato, un grave incidente o una violenza subita, una malattia, ma anche uno shock per un lutto improvviso, un incidente dove siamo coinvolti e qualcuno ha perso la vita, un evento acuto che sconvolge la nostra esistenza e nulla sembra più come prima.
Gli eventi t piccolo invece sono quei traumi che si possono avere nel corso della propria esistenza che comunque alterano il benessere e possono essere vissuti come condizionanti per gli eventi successivi (es. episodi di bullismo a scuola, un genitore assente o denigrante, un evento dell'infanzia o adolescenza che ha lasciato segni, una separazione, una bocciatura, ma anche un episodio di panico ecc...)

Quanto tempo ci vuole?
Dipende dal trauma su cui si va a lavorare.
Paradossalmente la prognosi è migliore per gli eventi T grande soprattutto se affrontati nel periodo immediatamente successivo all'accaduto.
Ad es. fra gli psicologi dell'emergenza attivati come supporto nei disastri ambientali c'è sempre una delegazione di esperti in EMDR, per lavorare fin da subito all'elaborazione di ciò che è successo.
Anche nella mia esperienza, lavorando con pazienti subito dopo incidenti o diagnosi di malattia, sono bastate dalle 3 alle 5 sedute per avere un sollievo dai sintomi tipici del trauma acuto che portano alla diagnosi di Disturbo Post Traumatico da Stress (DPTS) e un mantenimento nel tempo (da 1 a 2 sedute al mese) per mantenere gli effetti e stabilizzarli.
Il trauma cd. “piccolo” invece necessita di un lavoro più accurato, soprattutto quando è lontano nel tempo e quando alcuni aspetti della personalità si sono modellati a partire da esso. In tal caso si tratta di seguire ed elaborare ulteriori eventi o traumi che l'immagine iniziale fa emergere e scioglierli uno ad uno.

E se poi sto peggio?
Questo è un timore che assale qualcuno quando propongo l'uso di questa tecnica, perché come difesa noi tendiamo a non voler ripensare volontariamente a ciò che ci fa soffrire, sperando che col tempo svanisca da solo (questo accade spesso quando si lavora sugli episodi di attacchi di panico, dove la paura della paura impedisce di essere obiettivi nel ricordo).
L'idea di farlo, rientrando immaginativamente dentro all'episodio, può attivare il rifiuto protettivo, ma meglio eseguirlo in maniera guidata e con delle ancore di emergenza che “subirlo” in maniera coatta quando meno te lo aspetti perché i flashback del trauma si presentano di continuo.
Proprio perché – come dicevamo sopra – il trauma è immagazzinato in modo fisso, l'unico modo per scioglierlo è ampliarne i significati agganciandosi a esperienze positive e risorse dell'individuo già presenti ma conservate in altre aree cerebrali.
In più, partiamo sempre in questa tecnica con la possibilità di evocare un'immagine di sicurezza e protezione che viene costruita e “fissata” nei benefici prima di lavorare sul trauma vero e proprio: questa diventa un'ancora di emergenza nel caso in cui l'elaborazione risulti troppo difficile o dolorosa.
Nella mia esperienza posso dire che nella maggior parte dei momenti critici è bastato proseguire nell'elaborazione senza neppure usare il “posto sicuro” permettendo alle emozioni di esprimersi, sciogliere i nodi e allentare le tensioni congelate nel corpo.

L'elemento che a mio avviso fa la differenza in questa tecnica è il riuscire a cogliere il trauma su tutti e tre i suoi livelli – fisico, emotivo e cognitivo – e riconnetterli in un senso più ampio quando sono dissociati o separati, col fine di permettere alla persona di riappropriarsi della sua vita in maniera completa e armonica.

A voi buona settimana
e un pensiero speciale a coloro che stanno affrontando con coraggio la ricostruzione, delle loro case e della loro identità.
virginia

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