lunedì 3 marzo 2014

La grande bellezza (interiore)



Come anticipato da Evi la settimana scorsa (qui), oggi vi parlerò della liberazione dai condizionamenti dal punto di vista della Psicosintesi e di come qualcosa che viene considerato "problema" possa essere osservato da diversi punti di vista. 
Come giustamente riportato nell'articolo di Osho, in Oriente la prospettiva di approccio a ciò che noi definiamo “problemi” è molto differente dalla nostra.

In primo luogo, si pensa che non esista un problema serio. Nel momento in cui affermi che nessun problema è serio, il problema è per il novanta per cento già morto. Il modo in cui lo vedi cambia completamente.
                                                                                                              (The tantra vision)

Questo è possibile se siete già dei Budda nel pieno dell'estasi mistica.
Purtroppo ascolto ogni giorno storie di sofferenza e dolore emotivo che hanno bisogno di trovare uno spazio di accoglienza, storie che si sono trascinate per anni e anni sotto la maschera del “non è una cosa seria” e “tutto passa se lo vuoi”, e spesso è necessario riabilitarle al loro valore assoluto di trauma personale, prima di poterle superare e trasformare.

La seconda cosa che si sostiene in Oriente, è che il problema esiste perché sei identificato con esso

Questo aspetto invece mi trova concorde e anzi, rappresenta il perno di un importante concetto psicosintetico, che Assagioli ha introdotto in Occidente molto prima di Osho, rifacendosi comunque alle filosofie orientali, di cui era un grande studioso.

Noi siamo dominati da tutto ciò in cui il nostro io si identifica.
Possiamo dominare, dirigere ed utilizzare tutto ciò da cui ci disidentifichiamo.
(R. Assagioli – Atto di Volontà, pag. 156)

La nostra personalità (da persona = maschera) è fatta di numerosi aspetti, e, nonostante ci percepiamo tutti d'un pezzo, noi siamo una molteplicità (ne abbiamo parlato qui).
Siamo soliti giudicare la pluralità come deviazione dalla norma, tanto che anche il manuale diagnostico dei disturbi mentali classifica il Disturbo da personalità multiple, che appaiono nei momenti più disparati e fanno compiere cose bizzarre che la personalità dominante non riesce a controllare; in letteratura, Pirandello, Hesse e Pessoa sono solo alcuni degli autori che hanno dato vita a personaggi in cui il molteplice è il filo conduttore dell’esistenza, un esistenza però condotta ai margini della società, ritenuti molto vicini al labile confine fra normalità e patologia.
E’ quindi normale che tutto questo ci spaventi e tentiamo nella vita di tutti i giorni di sopprimere il molteplice a favore di un’unità che è in linea invece con la condivisa definizione di personalità come “organizzazione relativamente stabile delle disposizioni motivazionali d’un individuo”.
Ciascuno di noi quindi, tende a fondare la propria identità su pochi aspetti che riteniamo fondanti e fondamentali, ad es. il ruolo ricoperto nella propria vita (il capo, il terapeuta, lo studente...), una caratteristica temperamentale predominante (il calmo, la “testa calda”, la brava bambina...) un sentimento prevalente in una fase specifica (l'innamorato, ma anche la depressa, l'ansioso...).
Questo accade perché definirsi attraverso pochi elementi dà un senso di sicurezza alla nostra identità e permette di farsi conoscere nel mondo attraverso comportamenti tipici, che servono a noi, ma anche agli altri.
(Si, se ci "conosciamo" maggiormente nell'aspetto ansioso o depresso, quello è un punto fermo che dà sicurezza comunque, anche se sembra un controsenso).
Identificarsi è necessario ed inevitabile perché permette a ciascun individuo di avere una base sicura su cui strutturare la propria identità, almeno per un periodo o in un contesto particolare (in famiglia, al lavoro, con gli amici...)
P
ossiamo però, vedere anche il lato negativo di attaccarsi a un solo aspetto di noi.
Vi farò alcuni esempi che lo stesso Assagioli faceva: l'atleta che diventa vecchio e perde la sua energia fisica, l'attrice la cui avvenenza fisica sfiorisce, la madre che rimane sola quando i figli crescono, il capo che se ne deve andare in pensione ecc... rischiano di percepire un senso di perdita, di fallimento e di crisi interiore che minano l'equilibrio psicofisico.
In quest'ottica, anche i “problemi” non sono altro che ulteriori identificazioni con aspetti di sé.
Come vedo spesso, le persone che arrivano nel mio studio si definiscono ansiose, depresse, o si presentano attraverso una malattia (sono anoressica, sono fobico ecc...) o un disagio (“sono qui perché sto male”) perché ormai basta aprire internet e si può fare una diagnosi, col rischio però di affibbiare – e affibbiarsi – etichette riduttive che perdono di vista la persona intera, in tutta la sua molteplicità.
Così, la prima domanda da porsi è: chi mi sta raccontando queste cose?
Di solito le espressioni dei miei interlocutori si fanno interrogative a loro volta... non capiscono cosa intendo.
Io mi riferisco al loro testimone interiore, alla parte che osserva e può raccontare come si sentono in certe situazioni, cosa percepiscono nel corpo attraverso i sintomi, cosa pensano in conseguenza di certi eventi...
La parte che osserva non è mai la stessa che soffre.
È diverso “essere” depressa/o dal riconoscere che c'è una parte di sé depressa e triste (il che vuol dire che ce ne può essere anche una che non lo è).
Si tratta di una rivoluzione.
Questo testimone interiore, centro di consapevolezza e autocoscienza, Assagioli lo chiama “io”, l'unica parte di noi che rimane sempre uguale a se stessa, senza contenuti.
L'io acquisisce contenuti quando si identifica.
Ma allo stesso tempo può anche disidentificarsi (ovvero scegliere di distogliere attenzione consapevole a quel contenuto specifico, evitando di sentirsi “solo” quello).
Assagioli aveva messo a punto il cosiddetto “Esercizio di disidentificazione” da effettuare in una posizione comoda, rilassata, come ripetizione di consapevolezza:

Io ho un corpo ma non sono (solo) il mio corpo. Il mio corpo si può trovare in varie situazioni di salute o di malattia, può essere riposato o stanco, ma non ha niente a che fare con me stesso, con il mio vero io. [...]

Io ho delle emozioni, ma non sono (solo) le mie emozioni. Le mie emozioni sono varie, mutevoli, a volte contraddittorie. Possono passare dall’amore all’odio, dalla calma all’ira, dalla gioia al dolore, e tuttavia la mia essenza – la mia vera natura – non cambia, “io” rimango. […]

Io ho una mente ma non sono (solo) la mia mente. La mia mente è un prezioso strumento di ricerca e di espressione, ma non è l’essenza del mio essere. I suoi contenuti cambiano continuamente mentre essa abbraccia nuove idee, conoscenza ed esperienza. [...]

Io ho dei desideri, ma non sono (solo) i miei desideri. I desideri sono provocati dagli impulsi, fisici ed emotivi, e da altre influenze. [...]

Io sono un centro di volontà capace di osservare, dirigere ed usare tutti i miei processi psicologici ed il mio corpo fisico.

Attenzione però! Disidentificarsi non significa rifiutare parti preziose del nostro bagaglio psichico, poiché è necessario riappropriarsene per esprimere le molte sfaccettature che ci appartengono, e che magari, viste sotto una luce diversa, possono diventare delle energie costruttive. Occorre uscire dalla logica del sono "solo" questo o quello ma cominciare ad affermare che sono "anche" questo e quello, mettendo l'accento sull'inclusione invece che sull'esclusione.

Che ne dite di dedicare questa settimana alla scoperta delle false identificazioni che vi condizionano? (potete trovare qui qualche spunto di lavoro)
Oppure, visto che siamo a carnevale, di scoprire di quali e quante maschere vi fregiate per vivere i vostri personaggi interiori?
L'io è come un regista: una volta definiti e conosciuti i personaggi, padroni delle loro caratteristiche e potenzialità, può creare un capolavoro, magari degno di un Oscar, visto che siamo in tema.

...è tutto sedimentato sotto il chiacchiericcio e il rumore,
il silenzio e il sentimento, l'emozione e la paura
gli sparuti incostanti sprazzi di bellezza
e poi lo squallore disgraziato e l'uomo miserabile”

(Jep in “La grande bellezza”
Oscar 2014 miglior film straniero)

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